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Perché il fast fashion è così economico? Tutte le differenze con la moda sostenibile

Una delle tematiche più controverse della moda sostenibile riguarda il suo prezzo. Perché non è possibile che un capo sostenibile abbia lo stesso prezzo di uno di fast fashion?

Le persone ci pongono continuamente questa domanda.

Bella la moda circolare, l'impatto ridotto dei materiali sostenibili e certo, dobbiamo difendere i diritti dei lavoratori. Ma poi davanti ad un maglione che costa 120 euro e uno che costa 39,99 cosa facciamo? Come agiamo nella quotidianità?

Ci siamo già trovati ad affrontare il tema del prezzo della moda sostenibile in un precedente articolo di blog, ma vogliamo tornarci sopra e mettere nero su bianco dati e informazioni con le quali ci confrontiamo (e a volte ci scontriamo) quotidianamente, in quanto brand di abbigliamento sostenibile e circolare.

Mentre leggi questo articolo ti chiediamo di vedere la questione da un punto di vista diverso: anziché chiederti perché la moda sostenibile costa tanto, prova a domandarti come fa il fast fashion a costare così poco?

Percorreremo la produzione di un capo a partire dalla selezione del filato, fino ad arrivare alla sua commercializzazione, per capire cosa vuol dire fast fashioncosa c'è dietro alla moda che costa poco. Ovvero le differenze e le difficoltà che incontra un brand che si sforza di avere il minor impatto possibile sul pianeta e un brand che invece lavora senza una reale attenzione alla sostenibilità.

Produzione slow fashion

❗In fondo a questo articolo troverai un piccolo quiz per raccontarci la tua opinione su questo tema, e per ringraziarti del tuo tempo una piccola sorpresa❗

La differenza tra fast e slow fashion sul costo dei materiali

Per fare una maglia... ci vuole il filo!

Ma anche per fare una t-shirt, un tessuto o qualunque altro prodotto tessile.

Cosa fa un brand di slow fashion nel momento in cui progetta un capo?

Ricerca filati prodotti attraverso processi etici per l'ambiente. Fibre rigenerate, organiche, delle quali sia possibile conoscere i risparmi in termini di impatto ambientale.

Tutto questo ha un costo. Le certificazioni hanno un costo, i processi di riciclo e rigenerazione hanno un costo, le coltivazioni non intensive di cotone hanno un costo. In generale, tutti i processi produttivi tessili che si possono definire eco-friendly hanno un costo maggiore rispetto a quelli che dell'ambiente non si curano.

Differenza costo materiali fast fashion e slow fashion

Come sceglie invece i propri materiali un brand di fast fashion? In base al prezzo più vantaggioso. Punto. Non importa dove e come questo sia stato prodotto. 

Molto spesso per esempio i brand di fast fashion scelgono di utilizzare blend di fibre nobili e fibre poco nobili, per esempio unendo il cashmere al poliestere. In questo modo potranno comunque dire che quel maglione è fatto in cashmere, ma per poterlo vendere a un prezzo molto più basso basso è stato necessario svalorizzarlo e impedire tra l'altro il suo riciclo in futuro.

Poi c'è la questione dei volumi di acquisto. Utilizzare materiali poco sostenibili e in grandi quantità permette al fast fashion risparmiare circa il 50% rispetto ad un brand che ha una produzione contenuta e sostenibile. 

La differenza tra fast e slow fashion sul costo della produzione

Potrebbe accadere però che un marchio senza una vocazione particolarmente sostenibile voglia utilizzare materiali riciclati e "sostenibili", magari per fare un po' di green washing. Come la mettiamo in questo caso?

Per capirlo portiamo il nostro confronto sullo stesso materiale, immaginiamoci che un brand tradizionale utilizzi il nostro stesso filato in cashmere rigenerato. Come è possibile che i prezzi siano più bassi?

Tutto dipende dalle scelte di produzione e confezione del capo: un brand di fast fashion sceglierà di produrre dove la manodopera costa il meno possibile.

Anche in questo caso abbiamo provato a quantificare la differenza ed è ancora più impattante. Per un brand che sceglie di produrre in modo sostenibile e magari scegliendo il Made in Italy, la produzione costa almeno 5 volte tanto rispetto ad un brand di fast fashion, che molto tipicamente dislocherà la sua produzione in un qualche paese del far east asiatico.

Differenza costi produzione fast fashion e slow fashion

Facciamo qualche esempio:

Fare una maglia in Cina o in Bangladesh costa indicativamente dai 2 ai 4 euro. E stiamo parlando solo del costo di confezione.

Nel nostro caso, lavorando con artigiani e piccole e medie imprese Made in Italy la confezione di una maglia costa dai 15 € in su circa.

Con gli stessi 15 € in Cina invece è ampiamente possibile acquistare direttamente un prodotto finito comprensivo di materiali di qualità, come pura lana vergine pettinata, prodotta ovviamente anch'essa in Cina.

Differenze costi produzione tessile nel mondo

A cosa sono dovute queste differenze? Per cosa paghiamo quando scegliamo un capo sostenibile che costa di più di uno di fast fashion?

Paghiamo per tutelare il lavoro, la sua sicurezza e per avere stipendi il più possibile equi. Basti pensare che la paga oraria media in Italia si attesta sugli 8 € all'ora, mentre in Bangladesh ci aggiriamo intorno a 0,60 € l'ora.

Possiamo soprassedere davanti a tutto questo? Certo.

Accetteremo le medesime condizioni di lavoro? Abbiamo forti dubbi al riguardo.

Fast fashion: un'economia di scala che crea sovrapproduzione

Ciò che fa la differenza inoltre tra un brand di fast fashion e uno di slow fashion non è solo dove ma come e in che quantità, vengono prodotti i capi di abbigliamento.

Le scelte del fast fashion spesso ricadono nel fare economia di scala, ovvero produrre più del necessario per abbassare il costo unitario del prodotto.

Infografica economia di scala sovrapproduzione

Ecco perché il fast fashion ha un impatto negativo sull'ambiente: questo approccio equivale a sovraprodurre, nella consapevolezza che a fine stagione parte della merce rimarrà invenduta. Resterà in magazzino e prima o poi sarà necessario svenderla attraverso i saldi, rendendo il valore reale di questo bene e di tutti i processi che lo hanno generato totalmente effimeri.

Se poi i grandi marchi questo valore lo vogliono salvaguardare, non c'è da sentirsi più sollevati. In questo caso la soluzione è distruggere l'invenduto, una pratica questa molto comune anche tra i brand di alta moda, oltre che nel fast fashion. 

Questo fatto da solo ci basterebbe per rispondere alla domanda perché il fast fashion non è sostenibile ed è un problema?

Discarica vecchi vestiti

La prevendita che evita gli sprechi

Al contrario, un brand sostenibile sceglie di produrre in linea di massima solo quello che serve, anche se questo vuol dire non poter abbassare i costi unitari di quel capo d'abbigliamento. 

Quello che conta infatti per un brand sostenibile non è riempire il mondo e le discariche di oggetti inutili, ma portare le persone a non consumare più del necessario. 

Come sa chi ci segue da un po' Rifò ha scelto da sempre il modello della prevendita: diamo la possibilità alle persone di acquistare i capi a un prezzo vantaggioso prima di produrli, in modo da ascoltare la reale domanda del mercato.

Infografica prevendita Rifò

Crediamo in questo approccio non solo come misura per avere l'impatto minore possibile come azienda, ma per semplice buonsenso.

Oggi dinamiche di mercato insensate e irresponsabili ci hanno portato all'esatto contrario: produrre con il rischio di buttare via è più vantaggioso rispetto al non farlo affatto. E il rischio d'altra parte è calcolato e non porta danni particolari, se non all'ambiente.

Come riporta un testo fondamentale sul tema della moda sostenibile, Overdressed di Elizabeth L. Cline, quel rischio per un colosso multinazionale come Zara si quantifica intorno al 10% della sua produzione. Nemmeno troppo male se pensiamo che invece tendenza nell'industria moda è di avere tra il 17 e il 20% di invenduto. 

Oltre i margini di profitto

La cosa interessante da capire quando si confronta un brand di fast fashion e un brand sostenibile è che i margini di profitto spesso non sono molto diversi, nonostante il prezzo di uscita quello sì, cambi molto.

La differenza infatti sta proprio nei costi della produzione e dei materiali, di cui abbiamo parlato sopra.

Con questi risparmi un brand di fast fashion non avrà bisogno di applicare un guadagno stratosferico, perché riesce a mantenere i costi unitari molto bassi, contando su grandissimi volumi di vendita.

Momento, momento... Ok, i margini di profitto di un brand di fast fashion potranno anche essere simili ai nostri, ma dove vanno a finire?

Non possiamo saperlo, ma possiamo raccontare la nostra esperienza. Rifò in questo senso ha da sempre deciso di privilegiare l'investimento nel futuro. Per noi non è importante massimizzare il profitto ma ottimizzarlo. Lo usiamo per favorire la nostra crescita come azienda: potenziando i nostri progetti di economia circolare, quelli di impatto sociale, e facendo ricerca su nuovi materiali e sull'eco-design.

Non siamo nati per accumulare ricchezza, ma per cambiare il sistema, creando valore e opportunità lavorative concrete.

Differenze margini di profitto brand fast fashion e slow fashion

Il fast fashion del fast fashion

Pensa alle tue abitudini di acquisto di abbigliamento negli ultimi 10 anni. Trovi che la qualità dei prodotti sia aumentata? E come giudichi invece lo stile dei prodotti?

Se ci pensiamo bene la tendenza del mercato del fast va nella direzione di offrirci capi con uno stile sempre più attraente a prezzi sempre più bassi. La dimostrazione sta nel fatto che ultimamente sono nati e-commerce e catene di fast fashion ancora più fast, che puntano a copiare lo stile dei più noti competitor proponendo prodotti simili, con maggiore frequenza stagionale e a prezzi ancora più bassi!

Fast fashion e-commerce

L'abbassamento costante dei prezzi non può essere dovuto all'abbassamento della qualità e alla dislocazione della produzione, dato che non si è verificato un progresso tecnologico significativo nell'industria dell'abbigliamento: una maglietta viene fatta oggi proprio oggi come la si faceva 50 anni fa.

In realtà se vogliamo essere precisi qualcosa è cambiato: le possibilità digitali della modellazione 3D, utili per comunicare e trasmettere il lavoro a manifatture molto lontane. Questi mezzi hanno sicuramente reso più facile lavorare con la Cina e con i paesi asiatici, ma da soli non risultano sufficienti per cambiare un'industria.

1 commento

Luigi Enrico Golzio

Sono un professore di organizzazione aziendale dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Ho apprezzato molto il vostro articolo che offre dati concreti oltre che opinioni cndivisibili. Ho anche vistiato il Vostro sito e l’ho trovato molto ben fatto per la comunicazione trasparente. Vi contatterò a tempo debito per vierificare la Vostra disponibilità per fare un caso su Rifo’ e discuterlo con gli studenti nei meie corsi a Mantova e Modena. Complimenti e Buona fortuna per il progetto LG
———
Rifò – Circular Fashion made in Italy replied:
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