Quello del cenciaiolo, l'artigiano che seleziona gli scarti e i rifiuti tessili per il riciclo, è un mestiere molto antico, un'attività unica che esiste a Prato da più di 100 anni. Quando questa professione è nata, il fenomeno del riciclo delle fibre tessili non era legato alla sostenibilità, ma semplicemente al buon senso e alla volontà di non sprecare ciò che già era stato prodotto, creando un prodotto tessile più economicamente conveniente rispetto al vergine, soprattutto per materiali come lana e cashmere.
Questo concetto ci affascina da sempre. Fin dall'inizio Rifò si è posto come obiettivo quello di trasformare i rifiuti in nuove risorse, e per questo valorizzare questa tradizione unica e antica. Quella dei cenciaioli è un'artigianalità che a pensarci sembra quasi incredibile oggi, in un mondo in cui intelligenza artificiale, big data e automazione la fanno da padrona.
Potrà mai una macchina sostituire questa attività?
In questo articolo di blog vogliamo appunto spiegare cosa rende questo lavoro così speciale e perché non può essere - allo stato attuale delle cose - sostituito da una macchina, ma invece affiancato e supportato dalla tecnologia.
Come fa un cenciaiolo a riconoscere la composizione dei vecchi indumenti?
Prima di tutto il tatto, la mano del cenciaiolo valuta la morbidezza, la delle fibre e così l'operatore si fa un'idea di quale materiale si potrebbe trattare.
Poi c'è lo strappo, un piccolo taglietto e strraaaaap. In questo caso, quando lo strappo non scorre in modo fluido, è probabile che sia presente una fibra sintetica a rendere la struttura più compatta e meno scorrevole.
Poi c'è l'accendino, lo strumento per eccellenza del cenciaiolo. Dando fuoco a dei piccoli pezzettini di tessuto il cenciaiolo riesce a distinguere:
Le fibre sintetiche, che producono un pallino proprio come plastica bruciata, bruciano per poco tempo e si spegne subito.
Le fibre animali, come la lana per esempio, che ha tendenza a spegnersi subito e a lasciare una sorta carbone nero sulle mani.
La fibra vegetale, come il cotone, che tende a bruciare a lungo e emette fumo nero.
Infine, come ultima conferma c'è lo step dell'odore: la fibra animale bruciando ricorda il pollo bruciato, quella vegetale come il cotone sa di carta e cellulosa, mentre quella sintetica odora proprio di plastica bruciata.
Riconoscimento automatico delle fibre tessili: lo stato dell'arte
Il riconoscimento meccanizzato delle fibre tessili avviene oggi attraverso la fibra ottica e quindi grazie a una scansione tramite raggi infrarossi.
Si tratta di tecnologie sicuramente ancora poco rodate per questo specifico utilizzo industriale, per questo si trovano ancora in una fase sperimentale, poiché non esistono molti casi in cui sono state impiegate a regime nell'ambito del riciclo tessile.
Per capire cosa siano veramente in grado di fare queste tecnologie e a che punto il lavoro del cenciaolo potrebbe essere sostituito da un sistema automatizzato, abbiamo chiesto ai tecnici di Tecnotex, ente di ricerca privato iscritto tra i laboratori riconosciuti dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR), operante per il miglioramento dell'innovazione tecnologica e della competitività delle imprese.
Benché non siano ancora state impiegate nel settore del riconoscimento di scarti tessili, queste tecnologie sono sicuramente in grado di distinguere:
- Colore
- Composizione
- Struttura. Per esempio se si tratta di un capo di maglieria oppure di una tela tessuta a telaio. Tutto questo ha importanza poiché determina quanto sarà facile riciclare quel capo e quindi anche la qualità del prodotto finito rigenerato. I capi in maglieria grazie alla loro struttura più flessibile sono infatti più facili da riciclare rispetto ai tessuti.
In base a questi criteri la macchina può smistare gli scarti tessili e creare dei mucchi, che potranno poi essere inviati direttamente a impianti che si occuperanno della sfilacciatura, e poi della trasformazione in nuovo filato.
Ciò che una macchina non potrà mai riconoscere
Quindi se i risultati che la tecnologia di riconoscimento ottico a infrarossi è in grado di raggiungere sono così sviluppati, perché la suddivisione delle fibre per la rigenerazione deve essere fatta ancora a mano dai cenciaioli?
Al di là di dati oggettivi come colore, composizione e struttura, ci sono delle informazioni che solo la mente umana può decifrare.
La prima cernita per il second hand
Quando i rifiuti tessili raccolti tramite i cassonetti urbani o altre fonti di approvvigionamento arrivano ai numerosi impianti di selezione presenti nel distretto tessile di Prato, la prima cosa da fare è selezionare ciò che possiede un valore e quindi può essere rivenduto come capo vintage.
In genere questa cernita riesce ad assorbire circa il 70% di ciò che finisce nei cassonetti. Del percorso dei rifiuti tessili in Italia avevamo parlato qua nel 2021.
Solo il cenciaiolo può distinguere ciò che può essere destinato al riuso perché possiede un valore che va al di là delle caratteristiche tecniche, come il brand, il design o qualunque altro aspetto da prendere inconsiderazione.
A questo proposito merita fare una precisazione importante. La normativa EPR, Responsabilità Estesa del Produttore nell'ambito tessile, introdotta a marzo 2022 con la EU Strategy for Circular and Sustainable Textiles, che dovrà essere recepita da ogni stato membro entro massimo il 2030, spinge proprio nella direzione di promuovere il riuso rispetto al riciclo, in quanto si tratta della forma di economia circolare con il più basso impatto possibile.
Rimuovere gli accessori e le altre fibre, un lavoro di precisione
Dopo aver distinto ciò che è riusabile da ciò che invece non lo è, occorre preparare il rifiuto in modo che possa essere gestito per il riciclo, sia che questa operazione avvenga a mano, sia che avvenga tramite una macchina.
In poche parole occorre rimuovere tutto ciò che nei capi usati sono gli accessori: bottoni, etichette, cerniere, cuciture, ecc..
In questo caso il lavoro del cenciaiolo risulta fondamentale. Si tratta infatti di un lavoro minuzioso, che può riguardare anche parti molto piccole di un capo.
Un esempio? Togliere quello che in gergo è detto il "gommino", un filo elastico non riciclabile, che spesso si trova all'estremità inferiore di un capo di maglieria, nella costina, e serve per dare elasticità e far sì che la maglia aderisca correttamente ai fianchi.
Ecco, riconoscere questo piccolissimo dettaglio e soprattutto andare a rimuoverlo sicuramente è un'operazione che la macchina non riesce a mettere in atto.
A questo proposito i tecnici di Tecnotex ci spiegano che l'intelligenza artificiale sta facendo passi da gigante e per questo è probabile che, almeno a livello di riconoscimento possano arrivare sul mercato tecnologie in grado di localizzare anche questi elementi così piccoli, frammentari e poco standardizzabili. Da qui però a rimuoverli producendo il minor scarto possibile, probabilmente la strada sarà ancora lunga.
Come può la tecnologia aiutare il processo di riciclo tessile?
Le attuali tecnologie a infrarossi sono buone per fare una divisione fibrosa dei tessuti e dei vecchi indumenti. In questa ottica quindi servirebbero solo in una fase successiva alla prima selezione da parte del cenciaiolo.
Utilizzarle porterebbe il vantaggio di ridurre il costo delle seconde e terze cernite a mano, e riuscirebbe ad avere un impatto soprattutto sulle fibre meno pregiate come il cotone.
Il costo di un materiale riciclato infatti è giustificato soprattutto dal processo di cernita e lavorazione. Nel caso di cashmere e lana, dove il valore della materia prima vergine è alto, la cernita a mano rimane sostenibile e contribuisce a ridurre il margine di errore e imprecisione della macchina. Nel caso del cotone invece si tratta di costi che contribuiscono a rendere questo materiale rigenerato poco accessibile economicamente.
Il caso dell'Hub per il riciclo tessile pratese
Ad oggi ci risulta un solo caso in Italia per cui gli infrarossi saranno utilizzati per selezionare lo scarto tessile: l'Hub per il riciclo dei rifiuti tessili che Alia, l'ente per la gestione dei rifiuti ambientali locale, si prepara a collaudare a Prato entro Giugno 2026.
Proprio in vista dell'entrata in vigore progressiva dell'EPR, che porta con se tra l'altro l'obbligo per i Comuni di differenziare i rifiuti tessili, questo grande centro di smistamento accoglierà i rifiuti tessili urbani che avranno già passato la prima cernita a livello regionale, per poi far uscire scarto che potrà essere destinato direttamente alla fase successiva di sfilacciatura.
Come ci ha raccontato il vice presidente di Alia Nicola Ciolini, ad oggi lo scarto tessile annuale a livello regionale ammonta a circa 20.000 tonnellate di rifiuti post consumo (indumenti usati), a cui si aggiungono 14.000 tonnellate di rifiuti tessili industriali pre consumo.
In conclusione
Sembra che qualcosa stia piano piano cambiando, abbiamo la percezione che anche livello istituzionale si stia diffondendo la sensibilità a lottare contro lo spreco, ai beni commerciali che si trasformano troppo rapidamente in rifiuti da distruggere, al fatto che produrre materia prima nuova costi meno rispetto a riciclare ciò che già esiste.
Finalmente sembra farsi avanti un'approccio che considera anche i costi nascosti di quei beni di consumo, quelli a lungo termine. Si tratta di costi ambientali e sociali, non solo quelli legati al profitto dei grandi player.
Se questo processo di cambiamento nel campo del tessile passa dal riuso e dal riciclo, in questo contesto il mestiere del cenciaiolo assume un valore tutto nuovo e contemporaneo, una figura imprescindibile per continuare a fare un lavoro preciso e davvero anti-spreco. Il cenciaiolo è in conclusione tra gli ultimi baluardi che ci fa sperare nel fatto che la mente umana possa rimanere non sostituibile da una macchina.
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