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Raccolta differenziata tessile: perché l'obbligo non è sufficiente a sostenere l'economia circolare

Tutti ne parlano come la novità dell'anno nell'ambito dell'economia circolare: con il 2022 i comuni italiani avranno l'obbligo di introdurre la raccolta differenziata dei rifiuti tessili.

Il decreto legislativo n.116/2020 da poco entrato in vigore si basa su un decreto europeo che renderà fuori legge la mancata raccolta differenziata di rifiuti tessili entro il 2025, e fa parte del Pacchetto Economia Circolare, un piano di azioni  con precise scadenze, volte a potenziare proprio l'economia circolare.

La notizia sembrerebbe effettivamente buona, e sicuramente segna la volontà delle istituzioni di mettere a fuoco il problema. Ma dobbiamo chiederci, cosa significa questo obbligo?

Per ora non molto, date le incertezze delle amministrazioni che non trovano linee guida precise su come adempire agli obblighi. Per il momento tutto il focus è sui bidoni appositi per la raccolta urbana, che il 75% dei comuni italiani, 3/4 quindi, mette già a disposizione dei cittadini. Questi per intenderci:

Sarà sufficiente aumentare il numero dei bidoni per gli indumenti per fare un vero passo avanti e creare un modello circolare?

In questo articolo di blog vogliamo mettere a fuoco il problema, guardando cosa significa oggi fare la raccolta differenziata tessile urbana, quali sono i limiti e soprattutto in che modo questa potrebbe portare davvero un vantaggio per l'economia circolare. 

Differenziare per non differenziare: dove finiscono i rifiuti tessili urbani oggi

Come testimonia questo approfondimento del parlamento Europeo, ogni anno in Europa vengono consumati quasi 26 kg di prodotti tessili per abitante. Di questi il 42% diventa un rifiuto e viene buttato via. Stiamo parlando di circa 11 kg di vestiti per persona, 36 dei nostri maglioncini in cashmere da uomo per farsi un'idea più concreta.

Scordiamoci per un secondo l'entità di questi numeri (ci torneremo alla fine dell'articolo) e vediamo cosa succede in Italia a questi indumenti.

In una tavola rotonda organizzata da Ricicla.tv, che ha visto intervenire anche rappresentanti di Ispra (Istituto Nazionale Superiore per la Ricerca Ambientale), viene detto chiaramente: di questi 11 kg in Italia vengono recuperati attraverso gli appositi bidoni urbani solo 2,6 kg. Tutto il resto finisce nell'indifferenziata.

Quindi ad oggi è di questi 2,6 kg per abitante che stiamo parlando facendo riferimento ai rifiuti che buttiamo nei contenitori urbani. 

Ci siamo già occupati in passato del tema della raccolta differenziata dei rifiuti tessili in Italia, facendo riferimento al report L'Italia del Riciclo del 2019. Oggi siamo andati a consultare lo stesso report aggiornato al 2021 e vediamo che la situazione è rimasta sostanzialmente invariata.

infografica smaltimento rifiuti tessili in italia

IL 68% DI CIÒ CHE VIENE RACCOLTO È DESTINATO AL RIUTILIZZO. Cosa significa? Significa che viene selezionato per i mercati del second hand, in piccola parte europei ed in grandissima parte africani (ne abbiamo parlato in questo articolo). Là le balle di vecchi indumenti occidentali vengono rivendute nei mercati a scatola chiusa. Il che porta al grande rischio che buona parte di quello che contengono non sia buono per essere rivenduto e quindi finisca in grandi discariche a cielo aperto. Questo aspetto viene raccontato molto bene nel documentario francese "Où finissent nos vêtements", che vi consigliamo caldamente. 

IL 29% VIENE RICICLATO. Sì, ma come e per quale scopo? Si tratta di materiali che non sono selezionati per tipologia, e quindi finiscono in un ciclo, che seppur virtuoso non li valorizza. Attraverso questo processo tutto viene unito per ottenere pezzame industriale, imbottiture, materiali fonoassorbenti e isolamenti industriali. Forse è possibile differenziare meglio i materiali tessili e mantenerne le caratteristiche?

IL 3% VIENE SMALTITO IN DISCARICA O INCENERITORE. E questa percentuale è destinata ad aumentare proprio nel momento in cui la raccolta differenziata dei rifiuti tessili diventerà obbligatoria per i comuni. Qui infatti confluirà anche una parte di ciò che oggi finisce nell'indifferenziata.

Le conseguenze dell'obbligo della differenziata tessile

Cosa impedisce quindi una corretta differenziazione dei rifiuti ed un processo di riciclo più efficiente?

Perché per se ogni europeo butta via 11 kg di vestiti ogni anno in media noi in Italia ne intercettiamo solo solo 2,6 kg?

Probabilmente una risposta è da collegarsi ad una diffusione non abbastanza capillare dei contenitori nelle città, lo abbiamo visto. Aumentandoli e distribuendoli nel 100% dei comuni italiani certo si avrebbe una raccolta più capillare, ma questo comporterà delle conseguenze importanti...

Come si è accennato prima, con l’introduzione dell’obbligo di raccolta differenziata del tessile, le amministrazioni si troveranno a dover gestire quantità molto più grandi di rifiuti di bassa qualità, senza aver a disposizione delle filiere locali e degli impianti per lo smistamento ed il riciclo.

Quali azioni possono aiutare davvero l'economia circolare nel settore tessile

Se continuare a inviare tutto ciò che abbiamo accumulato negli anni via, lontano dagli occhi, in paesi lontani non è una soluzione, l'unica rimanente è tenersi questi vecchi indumenti e rigenerarli.

A Prato, nel nostro distretto tessile, esistono molte aziende che si occupano di rigenerazione. Noi di Rifò collaboriamo con loro ogni giorno e cerchiamo di raccontare le loro peculiarità artigianali.

Non sappiamo se riuscirebbero al momento a soddisfare un aumento così importante degli indumenti da trasformare in una nuova risorsa, ma sicuramente mettere a sistema ed investire in queste filiere potrebbe portare un impulso positivo all'economia circolare tessile.

Tutto questo a nostro avviso, a patto che:

1. Si selezionino a monte i diversi materiali tessili senza inserire tutto nel solito contenitore, un po' come succede per i rifiuti di ogni altro tipo. Questo comporterebbe anche chiedere alle persone di prendere consapevolezza di quello che hanno nell'armadio, e di sceglierlo in base a come potrà essere smaltito più facilmente.

2. Si investa in ricerca e sviluppo per riuscire a rigenerare più tipologie di materiali mantenendo una buona qualità del prodotto finale

3. Si inizi a considerare da un punto di vista legale un rifiuto come un bene economico. Questo gli conferirebbe un valore maggiore ed eviterebbe forse di vedere per strada scene di questo tipo:

Servizi trasparenti e filiere tracciabili

È proprio perché siamo convinti che un prodotto rigenerato debba essere di pari qualità rispetto a quello di partenza che abbiamo investito le nostre energie in progetti di rigenerazione specifici, legati al singolo materiale e in grado di creare filiere tracciabili e locali.

Così funzionano il nostro servizio circolare per capi 100% lana e 100% cashmere e Re-Think Your Jeans, in collaborazione con NaturaSì.

Attraverso questi raccogliamo vecchi capi che rispettino il requisito di una composizione più pura possibile e li inseriamo direttamente in filiere di rigenerazione locali, per questo a basso impatto di emissioni di CO2.

Perché i cenciaioli dovrebbero andare a comprare le balle di indumenti selezionati per tipologia magari all'estero, quando invece esistono qua sul territorio rifiuti (o meglio materie prime seconde) che possono essere valorizzate?

Ripartiamo dalle basi

Per concludere vorremmo riprendere quanto riportato all'inizio:

"Ogni anno, in Europa, vengono consumati quasi 26 kg di prodotti tessili per abitante. [...] di questi il 42% diventa un rifiuto e viene buttato via. Stiamo parlando di circa 11 kg di vestiti per persona.."

Questo vuol dire che di anno in anno in Europa è normale buttare via quasi la metà di tutti i vestiti e i prodotti tessili acquistati. Vuol dire che abbiamo un problema alla base.

Non smetteremo mai di inviare tonnellate e tonnellate di indumenti in Africa che finiranno poi in discariche a cielo aperto, se non inizieremo a ridurre i nostri acquisti, se non li orienteremo verso cose durevoli e di qualità.

Nessuna raccolta differenziata ci salverà se non diminuiremo i nostri rifiuti.

Per questo noi di Rifò sosteniamo l'economia circolare, perché sarebbe utopico pensare di smettere di acquistare. Ma non è sufficiente, vogliamo sostenere un diverso modo di considerare ciò che indossiamo, ciò che abbiamo scelto di mettere nel nostro armadio. Dobbiamo tornare ad affezionarci, a considerare ogni capo come unico e indispensabile.

Dobbiamo tornare alle emozioni.

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