L'inverno è alle porte e questo significa fare spazio nei nostri armadi per i capi più caldi, come i maglioncini più pesanti. In quanto a sostenibilità, tra tutte le fibre e i materiali che si presentano alla nostra scelta, mettiamo al bando le fibre artificiali, che come ben sappiamo non sono biodegradabili e sostenibili per il nostro pianeta. Parliamo invece di lana e più precisamente di cashmere, uno dei filati più pregiati nell'industria dell'abbigliamento, essendo la fibra naturale più isolante al mondo e anche la più morbida al contatto con la pelle. Ma siamo sicuri che in quanto fibra naturale sia anche sostenibile? Partiamo da un presupposto: il cashmere è un investimento. Se di buona fattura, un maglioncino tessuto con questo filato durerà decenni e potrai regalarlo ai tuoi figli perché se ben conservato sarà come nuovo. Quindi dal punto di vista della sua durata sicuramente rappresenta uno dei capi di abbigliamento più sostenibili che possiamo immaginare. Ma come per tutte le fibre occorre fare un passo indietro e pensare alla sua produzione per capire l'impatto che ha sull'ambiente.
Quindi perché il cashmere vergine sarebbe insostenibile?
Evoluzione del cashmere nei secoli
Il cashmere venne introdotto in Europa nel 1300, grazie alle spedizioni di Marco Polo, ma fu solo nell'Ottocento che gli europei ne iniziarono la lavorazione. I primi paesi a trattare queste fibre furono l'Italia e la Scozia, che ne detennero il monopolio fino a pochi decenni fa. Con la globalizzazione, il cashmere si è fatto conoscere in tutto il mondo e questo ha portato un ingente aumento della domanda, soprattutto negli ultimi anni, divenendo un grande classico del mercato del lusso. Tantissimi brand di moda hanno così deciso di inserire nelle loro collezioni capi di questa fibra pregiata, e con l'aumento della richiesta è avvenuta una forte pressione per abbattere i costi della materia prima e della produzione. Anche la lavorazione è cambiata: da molto specifica e accurata ha assunto dimensioni di larga scala, il che non ha fatto altro che aumentare gli scarti di lavorazione. Oggi il cashmere viene prodotto in molti più paesi rispetto al passato, come Mongolia, Tibet, Iran e Afghanistan; mentre è esigua la produzione che deriva dalla zona del Kashmir. La richiesta molto elevata inoltre, ha portato i pastori ad aumentare in maniera esponenziale il numero di capi di bestiame nelle mandrie, tanto che la sovrappopolazione sta distruggendo le praterie degli altipiani asiatici dove questi animali vivono. La capra infatti nel cibarsi estirpa l'erba e le piante fino alle radici, impedendo così alla flora di rigenerarsi. Il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite ha infatti dichiarato che il 90% della Mongolia, per esempio, è composta da terreni aridi e fragili, e ad elevato rischio di desertificazione.Un rischio anche per il bestiame
L'aumento della domanda e la difficoltà di gestione di mandrie numerose hanno portato a un processo di ricavo della fibra molto più frequente. Spesso la pettinatura avviene in inverno inoltrato. Ciò significa sottoporre l'animale a un rischio di sopravvivenza, poiché viene privato nel momento più freddo dell'anno della sua arma di difesa primaria. Un'ulteriore minaccia viene anche dal cambiamento climatico che ha interessato queste regioni. Negli ultimi anni è stato registrato il fenomeno dello dzud: le estati sono caratterizzate da mesi di siccità a cui seguono inverni molto freddi, nevosi e rigidi, che mettono a rischio la sopravvivenza dell'animale.Le capre non sono le uniche vittime
La montagne della Mongolia, più precisamente i Monti Altai, sono l'habitat naturale del leopardo delle nevi. Questo felino si ciba prevalentemente dello stambecco siberiano che, a causa dell'invasione delle capre, migra verso luoghi meno frequentati e più floridi. Purtroppo lo stesso discorso non vale per il suo predatore che rimane in questi territori e si ritrova costretto a cibarsi di animali domestici, esponendosi quindi a innumerevoli pericoli, come il bracconaggio, tanto da essere oggi nella lista degli animali a rischio di estinzione.Il cashmere rigenerato come soluzione
Per quanto quindi un capo in cashmere vergine possa durare nel tempo è evidente che la sua produzione odierna ha un certo impatto sull'ambiente e non si possa definire come sostenibili. La migliore opzione sembra essere quella del cashmere rigenerato, il cui processo produttivo fa parte della moda circolare: dare nuova vita a capi già utilizzati o scartati. Il cashmere inoltre, nella sua lavorazione principale, viene sottoposto a pochissimi lavaggi e risulta ruvido al tatto. Per questo dura a lungo e negli anni diventa sempre più morbido. Va da sé che quello rigenerato, proprio per la sua lunga vita, può raggiungere livelli di morbidezza maggiore rispetto al vergine. I vantaggi del cashmere rigenerato, ricapitolando, sono davvero tantissimi:- Gli indumenti in cashmere hanno un’ottima vestibilità e non fanno pieghe.
- Isolano dall’ambiente esterno. Permettono infatti al tuo corpo di mantenere la sua temperatura.
- Durata infinita. Questo materiale diventa sempre più morbido con il passare degli anni e non si rovina con i ripetuti lavaggi.
- Tessuto traspirabile. Assorbe sudore e umidità.
- Antistatico. Non attira campi elettromagnetici o elettrostatici e quindi neanche la polvere.
- Molteplicità e buona solidità dei colori.
- Il costo del materiale inferiore rispetto alla fibra vergine, che permette l'abbassamento dei prezzi.
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